Pubblicazioni – Giulio Orazio Bravi

 

“Farina e uova per fare ravioli”. Prima attestazione della specialità culinaria in un documento del 1187

Autore

Giulio Orazio Bravi (Abbazia di Albino 1950) si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Milano nel 1978 con una tesi sul pensiero religioso del giovane Kant. Nel 1982 si è diplomato in Paleografia e Archivistica. Nel 1989, vincitore di una Borsa di studio, ha studiato presso la Newberry Library di Chicago. Nel 1979 ha fondato con alcuni amici il Centro studi Archivio Bergamasco. Dal 1996 al 2010 è stato direttore della Biblioteca Civica Angelo Mai. Studia le idee e i sentimenti religiosi connessi alla crisi religiosa del Cinquecento, con particolare riguardo all’Italia; tra i suoi interessi anche la storia del libro, delle biblioteche e della lettura, delle espressioni artistiche, del viaggio come momento di formazione e scambio di idee ed esperienze di vita. Nelle sue indagini privilegia il genere biografico. Bibliografia e studi sono consultabili sul sito web www.giuliooraziobravi.it

Abstract

Nel 1187 si tenne a Bergamo, condotta dal cardinale Adelardo per incarico papale, una approfondita indagine per dirimere una lunga controversia insorta tra la canonica della chiesa di San Vincenzo e quella di Sant’Alessandro, stabilendo a quale delle due chiese spettasse il titolo di chiesa madre  o maggiore della Diocesi. Dato che la documentazione prodotta da ambedue le parti, bolle papali e privilegi imperiali, non chiariva con certezza a quale chiesa spettasse quel titolo, il cardinale interrogò canonici, chierici e laici, scelti tra i più anziani, per appurare, sulla scorta delle loro deposizioni quali fossero le tradizioni, le consuetudini, le usanze ab immemorabili seguite dai membri delle due canoniche nell’azione liturgica e pastorale, nei loro reciproci rapporti e nei rapporti di ciascuna canonica col vescovo. I verbali degli interrogatori condotti dal cardinale sono conservati nell’Archivio Storico Diocesano di Bergamo e costituiscono il dossier della cosiddetta Causa de matricitate. Nelle deposizioni dei testi sono frequenti le descrizioni di conviti, di cui il cardinale inquirente si mostrò interessato a conoscere origini, circostanze, modalità di svolgimento. In età medievale, in cui tutto aveva un forte significato simbolico, anche assumere cibo, sedere a tavola, essere convitati o destinatari per dono di prodotti alimentari non era un fatto puramente fisiologico o di ordinaria cortesia, ma rivestiva una dimensione culturale e ideologica, era il riflesso di rapporti gerarchici nonché del possesso di onori, privilegi, diritti. Il saggio prende in considerazione il particolare di una di queste deposizioni, quella del converso Avostano di parte alessandrina. Questi non si limitò a dire che ogni anno dopo Pasqua, nell’anniversario della morte del conte Attone, il vescovo offriva ai canonici di Sant’Alessandro un lauto pasto in memoria del conte, che per testamento aveva lasciato nel 975 la corte di Almenno al vescovo di Bergamo: specificò che il vescovo, per quel pasto, era tenuto a dare ai canonici «farinam et ova ad faciendum rafiolos», farina e uova per fare ravioli. La specificazione riveste una grande importanza per la storia della gastronomia perché si tratta della prima attestazione finora nota del consumo della tipica specialità culinaria. Prima d’ora la testimonianza più antica era contenuta in un passo della Cronaca di fra Salimbene da Parma del 1284. L’Autore mette dunque a fuoco il significato storico della testimoniaza del converso Avostano, nonché il contesto culturale e ambientale in cui essa va collocata e compresa.

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